Dott.ssa Grazia Dilernia

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LE MOLLE DELLA VITA

“Quando mi raccontarono cosa era accaduto non ne fui meravigliata. Non li avevo conosciuti bene. Ci eravamo incontrati tre o quattro volte a casa di amici. Avevamo condiviso pochi momenti insieme, ma la mia sensazione, osservandoli....

GLI OCCHI DI UNA MADRE

"È il quinto giorno che io e mio figlio trascorriamo in questa stanza, in ospedale. Il tempo scorre lento e, a parte colloqui con medico e psicologa ed esami vari per Matteo, c’è molto tempo per pensare. Chiudo gli occhi e visualizzo la mia vita di questi ultimi anni, in flashback. Il primo riflette una luce abbagliante: la sua nascita e la mia gioia nell’abbraccio di una creatura meravigliosa e sana. Il successivo, più opaco, nel quale vedo me stessa da lontano, come se ne prendessi le distanze. Se avessi avuto più fiducia nella parte di me più ‘istintiva’, non avrei sbagliato. Qualcosa mi portava a intuire che non ero io la causa delle problematiche di mio figlio. Molti conoscenti, familiari e amici mi inducevano a sentirmi direttamente responsabile dicendomi ‘sei troppo ansiosa’, ‘lascia vivere tuo figlio’, ‘vedrai che tutto passerà’.

ORGOGLIO DELLA BELLEZZA

Mentre guidavo, non riuscivo a fare a meno di scrutare i miei occhi nello specchietto retrovisore. Brillavano di una luce particolare. Riflettevano la felicità che quella sera mi aveva regalato. Determinavano la convinzione che stavo raggiungendo: stavo divenendo la donna che avevo desiderato. La riunione d’ufficio, poco prima terminata, era stata una prova tangibile della forza che la mia persona riusciva ad esercitare su se stessa, senza più il timore del parere degli altri. Il mio più grande ‘limite’, nei rapporti umani, era sempre stato determinato dal mio aspetto esteriore. La mia naturale bellezza mi aveva spesso PENALIZZATO nelle relazioni, OSTACOLANDOMI soprattutto nell’ambito lavorativo. Negli anni avevo adottato ‘strategie’ per non apparire. Evitavo di indossare abiti aderenti o tacchi alti. Preferivo truccarmi in modo leggero.

RICORDO

"Avrò avuto 7 o 8 anni, non di più. Era la fine dei 'favolosi' Anni 60. Una domenica, il giorno del pranzo 'solenne' in famiglia. Giornata nuvolosa. Niente sole in cielo. Il sole era in casa nostra. Una casa piccola, essenziale, ma caratterizzata dalla gioia, almeno dentro di me.
Avevamo appena cominciato a mangiare, quando sentimmo bussare lievemente alla porta a vetri della cucina (abitavamo in una casa dalla curiosa conformazione: due portoni di ingresso su due strade diverse e, quindi, due porte d’ entrata). Mio padre si alzò per vedere chi fosse a quell’ora inopportuna.
Editore: APS Città dell'Infanzia C.F.92072340729
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