Ancora caldi sulla scia del corso #FacebookExpress appena terminato, oggi parliamo proprio di lui: il mostro sacro di Mr. Mark Zuckerberg. Perché? Innanzitutto, è il social al primo posto nella scala della diffusione mondiale e poi perché, in un sottile e infimo gioco malvagio, è quell’esedra virtuale che dà l’illusione di essere familiare per la sua “apparente” facilità di utilizzo. E’ proprio in questo ginepraio perfido che, a tratti, sembra condurci in una dimensione onirica da film “Labyrinth” e chiedere clemenza ad un giovanissimo David Bowie, che miriadi di cellule “impazzite” immettono materiale di variegate provenienze, diventando dispensatori di verità assolute e, spesso, troppo spesso, trascendendo nel ridicolo o, nel peggiore dei casi, grottesco finendo per ledere pesantemente e incontrovertibilmente la propria esistenza offline.
L’errore che si compie più comunemente è quello di credere che la vita social sia completamente scissa da quella reale e, attraversando un sentiero parallelo, immaginare di poter far palpitare quell’esistenza online senza alcun riverbero su quella offline.
Purtroppo non è così. Senza dilungarci sulle infinite possibilità dal punto di vista imprenditoriale che, se ben strutturate, possono convertirsi in oro comunicativo, cominciamo col dire che, attualmente, il proprio “profilo” (account personale) è spesso la vetrina inconsapevole per molti addetti alle risorse umane.
Sì, avete capito bene. Il colloquio, spesso, è solo il secondo step. Ragion per cui, lasciarsi andare in esternazioni, immagini che palesano fotomontaggi di vita non reale, selfie compulsivi , condivisioni scellerate di pattume da web-eti (web+ebeti), messaggi intrisi di veleno verso ipotetici nemici potrebbe non incorrere nella giusta “considerazione” e divenire epic fail della propria reputazione. “Ma come? Ho centinaia di like ad ogni post! Sono un genio della comunicazione!”. Ahia! Lo sai che, forse, i “like” vanno nel verso esattamente opposto a quello che credi? Tutto dipende da quale scopo ha la comunicazione. Esempio. Se voglio apparire divertente e clownesco impronterò la mia comunicazione con questo scopo specifico. Se sono un animatore potrebbe avere un certo appeal. Che questo atteggiamento clownesco possa favorirmi come avvocato, commercialista, dentista, medico…etc, non è certo. D’altronde, se per alcuni versi è interessante scoprire l’aspetto umano oltre quello professionale e ci rende tutti più vicini, il messaggio che potremmo lanciare con un “eccesso” di spinta sull’acceleratore dell’ilarità è: “non prendetemi molto sul serio”. La nostra presenza sul social è interpretata nella sua totalità: siamo uomini, professionisti, padri/madri di famiglia, lavoratori autonomi, impiegati etc… La “platea invisibile”, sappiatelo, non spezzetta il prisma dell’essenza e fa “di tutta l’erba un fascio”.
Il pericolo è quello di credere che stia tutto funzionando alla grande quando, in realtà, è un lento e inesorabile incedere verso l’isolamento. Potrebbe accadere, anche, che un numero scarso di like sia, invece, sinonimo di grande valore espresso.
Un valore talmente profondo e irraggiungibile da non essere neanche “massificamente” condivisibile e pertanto considerato “non alla propria portata”. In questo caso pochi like potrebbero convertirsi in una stima offline che va ben oltre quel movimento impercettibile sullo schermo o tastiera. Vi sono parametri importanti da valutare nell’utilizzo del social che tutti dovrebbero conoscere, studiando il grande minotauro in tutta la sua natura. L’Italia detiene un primato per presenza di analfabeti funzionali (gente che sa leggere ma non capisce quello che legge), questo rende ancor più difficile far combaciare i nostri reali intenti comunicativi con l’elaborazione successiva da parte dell’utente. Una frase banale potrebbe convertirsi in uno tsunami di negatività. E’ come pilotare un aereo senza avere brevetto. Il disastro diviene più che una probabilità. E se il pilota fosse un bambino? Indescrivibile l'effetto impattante. In ogni azione che compiamo dobbiamo essere guidati da una grande alleata: la consapevolezza. “Conoscere” è un primo passo per non “perdere”.
Buono studio di Facebook a tutti!